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Quando si può parlare di mobbing e quali prove devono essere portate davanti al Giudice per essere risarciti in modo giusto? Non è semplice dare una risposta definitiva a questa domanda perché, purtroppo, non esiste una disciplina all’interno dell’ordinamento italiano che consenta di classificare esattamente quali sono le attività che sono certamente riconducibili al mobbing e che, pertanto, sono vietate al datore di lavoro o ai colleghi.
Durante il rapporto di lavoro il dipendente può trovarsi ad affrontare situazioni particolarmente gravose dovute a scadenze, progetti importanti, mancanza temporanea di personale. Si tratta di situazioni sicuramente stressanti, ma entro certi limiti fisiologiche nel corso del tempo.
L’art. 2103 del codice civile prevede che: “il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”.
Quando il datore di lavoro al termine del procedimento disciplinare decide di comminare una sanzione, il lavoratore che ritiene tale provvedimento ingiusto ha la possibilità di impugnarlo secondo due diverse modalità previste dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori che prevede la scelta tra la causa davanti all’autorità giudiziaria ovvero la costituzione di un collegio di conciliazione ed arbitrato.
Ricevuta la lettera di contestazione disciplinare da parte del datore di lavoro è necessario, senza indugio, prendere una decisione: o indicare per iscritto le proprie giustificazioni assumendo le proprie difese, oppure chiedere di essere sentito oralmente per poter compiutamente illustrare la propria posizione.