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Il caso tratta della messa in quiescenza di una ballerina della Scala di Milano che ha denunciato una serie di comportamenti vessatori posti in essere dalla Fondazione ai suoi danni durante il rapporto di lavoro.
In particolare la ricorrente lamenta di non aver potuto rivestire ruoli importanti nonostante il riconoscimento della propria professionalità anche da artisti di fama, di non essere più stata chiamata per esibizioni attinenti alla propria preparazione artistica, di aver subito comportamenti pesanti da parte del datore di lavoro. In conseguenza la ballerina era entrata in cura per depressione. I danni richiesti consistevano in danno non patrimoniale alla persona, danno patrimoniale per perdita di chances, danno da mobbing. Il Tribunale di Milano ha riconosciuto l’esistenza del danno esistenziale quantificandolo in euro 30.000,00 ma non il mobbing.
Impugnata la sentenza, la Corte d’Appello di Milano ha negato la sussistenza del mobbing perché occorre qualcosa di più rispetto a quello provato in corso di causa. I tratti caratteristici del mobbing, così come evidenziati dalla giurisprudenza in assenza di disciplina specifica, sono:
- una serie di comportamenti prolungati nel tempo e preordinati al diretto e chiaro fine di danneggiare il lavoratore;
- deve delinearsi un quadro univoco persecutorio posto in essere ad opera del datore di lavoro o da un suo sottoposto;
- l’evento lesivo;
- il nesso eziologico
Nel caso di specie la Corte ha affermato che tra le varie condotte denunciate e provate dalla ricorrente mancava il filo conduttore atto a ricondurre il tutto in un unicum finalizzato ad escludere totalmente la ballerina dall’ambiente lavorativo, ad isolarla.
Il danno, però, sussiste e viene ricondotto dal Giudice all'art. 2087 c.c. atteso che il datore di lavoro ha l'obbligo di tutelare le condizioni di lavoro a garanzia del lavoratore.
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